Con l'evolversi della pandemia, Mariavittoria Giusti di Boyden condivide la sua opinione esperta su cosa aspettarsi in questo contesto inedito caratterizzato da una nuova socialità e stili di comunicazione.
Il lockdown e la pandemia ci hanno indotto ad attivare nuove modalità relazionali e di problem solving. Anche i più restii all’utilizzo della tecnologia hanno dovuto adattarsi a nuovi apprendimenti, un tempo impensati e impensabili.
A ciò si accompagna una dimensione emotiva variegata: curiosità, interesse, negazione, fatica, noia. Un contatto con le nostre fragilità e le nostre risorse.
Di certo nessuno si sarebbe aspettato un cambio così radicale nelle nostre esistenze, sia nel privato che nel pubblico: dimensioni – queste – che oggi si incontrano, se non altro per l’opportunità o la novità di potersi connettere a distanza, di poter svolgere il lavoro da remoto, da casa o da luoghi altri rispetto a quelli preposti a un’attività lavorativa classica.
Che cosa dunque possiamo e dobbiamo aspettarci al nostro rientro dopo la pausa estiva?
Di certo la modalità in remoto sarà mantenuta; ma che cosa porterà a livello relazionale e sociale?
Un aspetto per noi interessante è la conduzione delle riunioni da remoto, con un’attenzione agli aspetti verbali e non verbali della relazione, al linguaggio del corpo e alla sua potenza.
A questo proposito mi piace citare le parole di alcuni intellettuali, raccolte nell’articolo di Paolo di Stefano comparso su “la Lettura” del 6 settembre 2020.
Alla domanda: “Che cosa ne è venuto fuori da questa Pandemia?” il critico, poeta e scrittore Antonio Prete risponde così:
“Il confinamento, certo, ha intaccato le forme del vivere sociale, fondate sull’incontro, la relazione, la corporeità, come ha messo in questione riti e forme della compassione, pensiamo all’importanza della presenza dinanzi all’altro, della carezza, della tenerezza, insomma della prossimità che è principio del riconoscimento dell’altro e di sé attraverso l’altro, attraverso la presenza fisica dell’altro”.
E Chandra L. Candiani, poetessa: “In generale vedo il tentativo di ripetere quello che c’era prima, di fare ritorno alla cosiddetta normalità e di fingere che sia finito tutto”.
A riflessioni interessanti ha portato anche la domanda se questo tempo inaspettato abbia comportato sorprese:
..”La velocità con cui i popoli interi hanno modificato da un giorno all’altro le proprie abitudini più profonde corporee e mentali – commenta Emanuele Coccia, docente universitario – “E’ stata una dimostrazione del fatto che la nostra vita (indifferentemente dalla sua identità culturale) ha una plasticità che continuiamo a sottovalutare”..
“..Quello che in fondo mi ha sorpreso – afferma invece Eugenio Brogna, psichiatra - è stata la rassegnazione con la quale è stato, più o meno consapevolmente, accolto l’obbligo della solitudine con un cambiamento radicale e anzi rivoluzionario di comportamenti…”
Sull’onda di questo periodo di riflessione, di questioni di responsabilità individuale e di nuovi ruoli lavorativi, ho chiesto ad alcuni Manager di Azienda, Direttori Risorse Umane, Direttori Generali, Amministratori Delegati, Liberi professionisti, di raccontare che cosa è stato per loro e per i gruppi di lavoro questo periodo di lockdown, come hanno condotto le riunioni e con quali attenzioni alla comunicazione, che cosa sarà di un prossimo futuro lavorativo, come hanno coniugato vita pubblica e privata, come – in generale – si sono sentiti.
E’ stato interessante ascoltare tutti e cogliere nelle loro parole la volontà di mettere in gioco creatività e risorse nuove per se stessi e per i loro gruppi di lavoro. Ognuno ha colto sfumature diverse, determinate dal loro impiego in una multinazionale, in realtà padronali o Studi professionali.
Alla mia domanda: “Come riprenderà il lavoro in Azienda? E in quale modalità?”, le risposte sono state, in linea di principio, corali, univoche: va salvaguardato innanzitutto il benessere individuale e quello del gruppo; per tutti, dopo la pausa estiva, va colta l’opportunità di rientrare al lavoro con un “sistema misto”, in remoto e in presenza, con tutte le accortezze del caso. Qualche voce fuori dal coro, ma sempre nel rispetto dell’altro.
Alcune Aziende ricorrevano già prima dell’emergenza Covid a forme di smartworking o homeworking ante litteram: il così detto telelavoro. Oggi queste Aziende continuano a lavorare in remoto, hanno sistemi per farlo e si sono organizzate ancora meglio con sistemi innovativi da casa.
Le Aziende che non praticavano lo smartworking hanno fatto in modo che tutti potessero lavorare in modo efficace.
A questo proposito un Manager intervistato ha raccontato di come un collaboratore, tra i più ostili allo smartworking, abbia ammesso di non poterne più fare a meno, dopo averlo sperimentato, e ha dunque chiesto di svolgere più giornate in remoto che in presenza.
Interessanti alcuni spunti nei racconti ascoltati: molto sentita l’esigenza di porre confini tra la dimensione privata e quella pubblica, come quella di dare un senso alla dimensione del tempo (“se sono a casa devo fare le mie pause, staccare, non rimanere connesso senza limiti”). Uno degli intervistati ha detto: ”Esattamente come il lavoro in presenza era scandito da una fine e un inizio lavoro, cosi io mi do dei tempi, degli orari nel lavoro da casa; il weekend è sacro, non mi connetto mai anche se sono in remoto”.
E’ necessario quindi mettere regole, organizzarsi, darsi obiettivi. Come ha detto una Manager intervistata: “Bisogna guardarsi dai comportamenti meno virtuosi; è necessario, soprattutto per noi donne, attuare una buona pianificazione, trasformare il lavoro da remoto in un’organizzazione della propria vita familiare nel rispetto della vita personale”.
Vi è anche, comunque, chi auspica fortemente di ritornare a lavorare anche in presenza, come ha sottolineato una delle intervistate: “Purtroppo chi vive in spazi piccoli, in case in condivisione, chi non ha la giusta privacy, fatica a trovare serenità. Potrà sembrare un’assurdità, ma una delle mie dipendenti era costretta ad andare in auto per connettersi e lavorare da remoto. Così come qualcuno ha avuto forti mal di schiena per non potersi sedere in modo adeguato”.
Queste riflessioni ci dicono anche dell’importanza di ripensare, in futuro, spazi privati e pubblici, e della necessità che le Aziende dotino tutti di sussidi e tecnologia adeguata a svolgere al meglio il proprio lavoro da casa.
Dal generale a un tema più specifico che afferisce anche alla comunicazione. Ho chiesto poi: “Come ha vissuto fino ad ora le riunioni in remoto e con quali novità per lei e il gruppo di lavoro? Quali accenni al linguaggio verbale e non verbale, alla potenza del corpo, alla sua negazione, alle nuove strategie comunicative?”
In linea di massima la capacità dell’essere umano di adattarsi a nuove forme di lavoro, di vita, è confermata dalle risposte ricevute. Riporto alcune riflessioni.
La riunione in remoto si è verificata una modalità efficace ed utile. Una delle professioniste interpellate dice: ”Mi ha consentito di essere presente a tutte le riunioni. Mi ha permesso di non passare ore in auto o pianificare viaggi. Ha permesso a tutti di essere presenti”.
La modalità in remoto ha permesso a tutti di partecipare. È venuto naturale prendere parte alle riunioni, si sono creati tavoli virtuali che hanno permesso a tutti di esporsi nella presa di decisioni; alcuni hanno trovato più facile la collaborazione, hanno ascoltato di più e dato feedback costruttivi.
Anche l’organizzazione è risultata più appiattita, le riunioni sono state più trasversali. La dinamica in remoto ha portato anche ad essere sottoposti ad interazioni veloci, ad entrare in contatto visivo con Capi e Direttori di Funzione, occasione non sempre possibile in presenza. Conoscere più risorse a livello organizzativo con maggiore libertà di contatto e di parola.
Anche i più timidi nelle riunioni in presenza, quando in remoto, si sono dati il permesso di dire, essere visibili ed esprimere opinioni e punti di vista come se fossero usciti da una situazione ripetuta che non consentiva loro facoltà di espressione. Come ha sottolineato un intervistato, la porta chiusa dell’Ufficio del Capo che si incontra in Azienda è di fatto una barriera; la sua assenza consente dunque agli introversi di scrollarsi un po’ quel “timore reverenziale”, consentendo un coinvolgimento a differenti livelli organizzativi.
Più difficile forse l’espressione e la gestione dello spazio per chi è abituato a parlare davanti a molti interlocutori.
Le riunioni in remoto hanno il vantaggio di essere più veloci, ci si prepara meglio, e ci si prepara per tempo, il virtuale ti obbliga ad essere più disciplinato e meno dispersivo. Questo ha portato delle riflessioni anche rispetto al concetto di riunione in generale. Forse si facevano troppe riunioni in epoca pre-Covid, non tutte così necessarie?
In remoto, qualcuno ha detto: “Prevale di certo la necessità di essere concisi, sintetici, di far arrivare un messaggio, il contenuto ha un impatto più forte della forma”.
Un pensiero corale è stata la difficoltà di condurre riunioni “miste”, con una parte di partecipanti in presenza ed una parte in remoto; in questo senso i codici di comunicazione e la modalità della relazione risultano penalizzate, i tempi disomogenei, la gestione dei punti da trattare spesso discontinua. Quindi: o tutti in remoto, o tutti in presenza!
Emerge che la comunicazione verbale in remoto debba essere curata, poiché in essa vengono a mancare alcuni aspetti del Non verbale: postura, sguardi, gesti. Un Direttore Risorse Umane ha detto: ”Ho capito l’importanza di allenare competenze ed abilità che tornano ad essere fondamentali, come la sintesi e la chiarezza nella comunicazione!”
Il linguaggio non verbale, quello del corpo, è stato forse penalizzato nelle riunioni in remoto; il leader abituato a coinvolgere i gruppi e condurre le riunioni anche attraverso la presenza, la postura, le battute di spirito per attrarre l’audience, ha dovuto trovare nuove forme. La riunione in presenza ti permette di cogliere anche lo stato d’animo di chi ascolta, in remoto questi aspetti sono venuti meno. La voce, le pause, i silenzi, sono state abilità da affinare. Parlare in uno schermo di un metro per un metro, richiede attenzione in merito al dove si guarda, al volume della voce, al timbro.
Queste nuove abilità hanno preso il posto di quei gesti abituali e fisici delle riunioni in presenza, la stretta di mano, l’incedere nella stanza, il modo di sedersi e di usare le mani, il vestire. Hanno livellato un po’ le personalità abituate ad essere al centro della scena, bisognose di riconoscimenti, applausi e necessità di esprimersi. Certo queste sono questioni che mancano a tutti, ma permettono di riflettere su come essere potenti ed efficaci anche sviluppando altre abilità.
Lo stesso dicasi per come ci si presenta in riunione. Molti Manager hanno dato regole in tal senso, una sorta di “dress code” della riunione in remoto, lo stile di abbigliamento, la puntualità, il silenziare l’audio, il prenotarsi per parlare, lo stare in presenza senza oscurare la videocamera.
Alcuni dei Manager intervistati hanno raccontato di aver proposto delle “pause caffè in remoto”, la possibilità di stare insieme e smorzare l’attenzione agli obiettivi con un racconto o una condivisione, magari un caffè corale via video.
Psicologicamente - hanno osservato alcune delle persone intervistate - l’opportunità di vestirsi e prepararsi anche per una riunione in remoto, indossare abiti adeguati e non presentarsi in “pigiama”, ha consentito una maggiore efficacia e presenza. Questo ha permesso di scandire meglio tempi e modi tra il privato e il lavorativo. Come a sottolineare che, anche la riunione in remoto, ha dei codici di comunicazione da rispettare.
Certo ci aspetta un tempo nuovo, un tempo responsabile, un tempo dove i nuovi apprendimenti devono servirci per integrare antiche modalità. Abbiamo tutti scoperto che possiamo uscire dalle nostre zone di comfort, andando oltre, misurandoci su altri stili comportamentali.
Credo, come ha detto qualcuno, che oggi ci sia bisogno anche di rivedersi, di stare insieme, di far circolare energia, di non stare solo davanti ad un video. Abbiamo bisogno di sorrisi e di sguardi, di strette di mano e di emozioni dal vivo, di guardarci negli occhi e poterci commuovere attraverso l’altro.
Ci vorrà tempo per potersi dare un abbraccio a fronte di successi raggiunti, però oggi sappiamo che molti di noi sono riusciti a trasmettere empatia ed emozioni anche in remoto. Molti hanno scoperto visi nuovi ed ascoltato colleghi più silenziosi. Hanno imparato a modulare il tono della voce in riunione, evitando di urlare come fossero in un emiciclo di 400 posti, sono riusciti a portare avanti riunioni importanti e decisioni strategiche anche in remoto.
Tutti questi spunti sono uno stimolo per riflettere e magari pensare che le Aziende da oggi dovranno affinare non solo la tecnologia (fondamentale perché tutto funzioni), ma anche tutte quelle nuove Soft Skills necessarie ad essere efficaci che abbiamo sperimentato e vissuto attraverso questo periodo di lockdown.
A questo proposito desidero ringraziare tutte le persone intervistate, senza le quali questo articolo non sarebbe stato possibile.
A tutti voi BUONA RIPARTENZA!
Cito chi di loro gradisce essere nominato: